“O mio babbino caro,/ mi piace, è bello, bello;/ vo’ andare in Porta Rossa / a comperar l’anello!/ Sì, sì, ci voglio andare!/ E se l’amassi indarno,/ andrei sul Ponte Vecchio,/ ma per buttarmi in Arno!/ Mi struggo e mi tormento!/ O Dio, vorrei morir!/ Babbo, pietà, pietà!/ Babbo, pietà, pietà!”. È una famosa aria del Gianni Schicchi di Giacomo Puccini: Lauretta, figlia di Gianni Schicchi de’ Cavalcanti, si strugge col babbino per il suo amore verso Rinuccio Donati, che rischia di saltare per la guerra fra le due famiglie. Ora ditemi voi se non sembra scritta apposta per Maria Elena Boschi, travolta dai disastri del babbino etrusco e lasciata sola dall’amico Matteo, che la manda pure a prendere pesci in faccia alla Camera sul caso Carrai. Gianni Schicchi, il babbino caro di Lauretta, era un burlone e un truffatore, abilissimo imitatore, che Dante spedì all’Inferno tra i falsari perché si era sostituito al cadavere di Buoso Donati il Vecchio, appena morto vedovo e senza figli, e dal capezzale aveva convocato il notaio dettandogli un testamento favorevole al nipote amico suo. Pier Luigi Boschi, il babbino caro di Maria Elena, era fino a pochi giorni fa un irreprensibile gentiluomo di campagna: dipinto dai giornaloni come l’ingenuo rappresentante degli agricoltori del contado aretino nel Cda di Etruria e dalla figlia come “una persona perbene, finita al centro dell’attenzione delle cronache non tanto per quello che fa, ma perché è mio padre e abbiamo lo stesso cognome”.Poi, nel breve volgere di una settimana, si è scoperto nell’ordine che: oltre alla multa da 144 mila euro subìta da Bankitalia per la malagestione di Etruria, cercò di salvare la banca con l’aiuto di Valeriano Mureddu, massone di Rignano sull’Arno, amico, socio e vicino di casa di Tiziano Renzi; incontrò almeno tre volte a Roma Flavio Carboni, faccendiere condannato per bancarotta fraudolenta (dunque perfetto per salvare una banca) e più volte arrestato, nonché imputato con Verdini e Dell’Utri per la loggia P3; s’è fatto dettare il nuovo direttore della banca dal faccendiere Gianmario Ferramonti nella persona di Fabio Arpe, l’ha portato al Cda di Etruria e se l’è visto bocciare da Bankitalia; s’è beccato due multe dall’Agenzia delle Entrate, una per evasione fiscale, l’altra per violazione delle norme antiriciclaggio, a proposito di un terreno venduto per metà in nero col suo socio Francesco Saporito, calabrese di Petilia Policastro (Crotone), ritenuto dalla Dda di Firenze legato alla ‘ndrangheta.Infine, per la stessa vicenda, tra il 2011 e il 2013 è stato due volte indagato e poi – una volta pagate le sue multe – archiviato per turbativa d’asta, estorsione, evasione e riciclaggio, su richiesta del pm Roberto Rossi, che subito dopo il governo Renzi ha rinominato consulente di Palazzo Chigi. Un bel pedigree, non c’è che dire, per un gentiluomo di campagna, babbino caro, “persona onesta” perseguitata a causa del suo cognome.
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