Il dark side dell’intelligenza emotiva





«Ottime capacità relazionali»: non vi è annuncio di lavoro che non presenti questa indicazione, e non vi è candidato che, a volte sornione, non l’abbia inserita nel proprio curriculum con la speranza di conquistare l’attenzione delle aziende. In gergo tecnico si chiama «intelligenza emotiva» (IE): la capacità di comprendere, gestire ed esprimere in modo efficace i propri sentimenti e interpretare quelli delle persone che ci circondano; e da almeno vent’anni viene considerata la chiave del successo, sul posto di lavoro (a volte più del quoziente intellettivo o del percorso formativo) e nella vita in generale. Nonostante la dimensione interpersonale risulti fondamentale, però, pare che nel mondo dell’intelligenza emotiva non tutto ciò che luccica sia in realtà oro, e che dunque a volte su questo fronte occorra non esagerare.  Se infatti negli anni scorsi sono proliferati studi volti a sottolineare i vantaggi del possedere una forte intelligenza emotiva (in termini di migliore prestazione sul posto di lavoro, maggior soddisfazione personale e persino minori problemi di salute), diverse sono le ricerche che negli ultimi tempi, come ricordato dalla rivista statunitense Atlantic, hanno voluto indagare il «lato oscuro» dell’IE, concentrandosi sui possibili effetti «indesiderati» di una tale capacità empatica. 

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Pubblicato il: 19 Gennaio 2016

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